Con la piel bien curtida

11.02.2017 20:00

Andrea Caschetto, con la piel bien curtida

Renata Adriana Bruschi – 11.02.2017

 

 

Resta ancora spazio e voglia per l'ascolto dell'altro, in una società dove l'arrogante sempre la spunta, mentre le persone diversamente abili si misurano ogni giorno con l'incuria o impotenza delle istituzioni e perfino la distrazione altrui?

 

Andrea Caschetto è arrivato da pochi giorni in Argentina con il fermo proposito di trovare risposta alla domanda che si pose tempo addietro, in un altro contesto. Era ancora quindicenne, quando si trovò convalescente da un delicato intervento. Gli fu asportato un tumore dalla testa. Per lui allora, ed ancora adesso nella freschezza del suo sguardo, la domanda si presentava formulata in termini più diretti e personali: perché gli altri lo osservavano di nascosto a causa della sua condizione di disagiato e voltavano lo sguardo quando lui se ne accorgeva? Perché, si chiedeva, allargando i termini della sua domanda, perché viene escluso chi appare diverso?

 

Andrea è arrivato a Buenos Aires in questo febbraio a volte torrido e umido, a volte fresco e ventilato, per iniziare un percorso argentino alla scoperta della solidarietà. Scandito da alcune tappe già fissate, senza però date prestabilite, salvo quella di rientro in Italia, il suo itinerario conserva il sapore dei viaggi di una volta, quando gli approdi erano le persone e non monumenti o siti da visitare. Durante la sua sosta nel bar di una libreria di Palermo non è mancato il tempo per conversare. Il suo desiderio di raccontare e raccontarsi miscela esperienze passate e curiosità per scoprire la realtà sociale a cui poco alla volta si avvicina con dolcezza e spirito solidale.

 

-Come hai scelto i luoghi in cui soggiornare durante il tuo viaggio in giro per il mondo, da cui hai tratto materiali per il tuo primo libro Dove nasce l'arcobaleno, edito dalla Giunti e arrivato alla sua quinta ristampa?

 

-La prima tappa è stata lo Sri Lanka, perché la mia ragazza mi aveva trovato un volo a buon prezzo. Poi mi sono mosso a seconda dei biglietti che riuscivo a trovare. Una volta mi sono trovato a venti chilometri da un grosso centro urbano, in un orfanotrofio organizzato con tante case-famiglia e curavo l'animazione serale per i ragazzini. In ogni casa una donna badava a dieci ragazzini. Ho imparato molto da loro. Non programmo i viaggi. Ad esempio, ora a Buenos Aires sono ospite di un ragazzo che ho conosciuto al mio arrivo. La mia è una fiducia al primo sguardo. Accetto gli inviti a seconda della fiducia che mi ispirano le persone che incontro.

 

-Come è nata l'idea di scrivere un libro?

 

-L'ho iniziato a scrivere mentre viaggiavo. Dovuto a problemi di concentrazione e a causa della mia poca memoria, preferisco scrivere subito. Poi, in Italia, nei tre mesi che hanno preceduto la pubblicazione, l'ho rivisto insieme alla mia editor Chiara Belliti. Tutto il ricavato è stato devoluto a scopo benefico e così sarà anche nel caso di una traduzione. In Kenia si sta costruendo una ludoteca grazie a questo libro.

 

Quanto tempo ti fermi in Argentina?

 

-Tutto il mese di febbraio. Andrò verso Rosario, Cordoba, San Rafael, Mendoza e Bariloche. Questo nuovo viaggio è nato da una mia idea, per il momento ho raccolto anche qualche critica. Come ti spiegavo, ho avuto un'operazione alla testa e durante la convalescenza dovevo muovermi in sedia a rotelle. Quello che mi dava fastidio era accorgermi che qualcuno mi stava fissando e staccava lo sguardo non appena io giravo il mio verso di lui. Ho deciso di fare il viaggio in Argentina sulla sedia a rotelle per motivare le persone in quelle condizioni, come ho fatto quando ho accompagnato Michele in Russia. Michele è un ragazzo non vedente e durante il nostro viaggio ha girato un documentario, che è il primo documentario ripreso e montato da un non vedente. Voglio diffondere un messaggio: aiutare gli altri non è un peccato, non ricevi un danno. Forse è un'idea un po' folle.

 

Come mai hai scelto l'Argentina?

 

-Ho 26 anni e ho già girato parecchi paesi. Mi sono ricordato che in Sudamerica esisteva l'abitudine a cedere il posto sugli autobus. Ho pensato che qui avrei ricevuto più aiuti per muovermi, invece questa settimana ne ho ricevuto pochi. Oggi parlavo con un signore che mi diceva che quarant'anni fa era proprio così, forse ora no. Scelgo le località sulla base degli inviti ricevuti. Vicino a Rosario abita la famiglia di una ragazza che ho conosciuto a Budapest e ho rivisto a Milano. Sua madre mi segue fu Facebook e vuole conoscermi. Il mio proposito è ascoltare le storie delle persone che incontro, infatti dietro la mia sedia a rotelle un cartello riporta questa scritta “Hablame”. Finora, in città, i bambini sono stati i più interessati a parlarmi e a farmi domande. Le conversazioni più carine con gli adulti sono avvenute dopo che i bambini hanno rotto il ghiaccio.

 

La sedia a rotelle ti impone percorsi particolari....

 

-Proprio così. Qui ho notato che i marciapiedi sono in pendenza e mi tocca fare più forza con un braccio, altro imprevisto: il vento. Mi hanno fermato persone che hanno situazioni pesanti in famiglia. Ho notato che chi subisce, capisce il disagio e viene incontro. Parlo varie lingue, riesco a farmi capire anche in spagnolo. El año pasado, hablé en las Naciones Unidas frente a tres mil personas y hablé en inglés!

 

Qualche ragione familiare ti porta verso queste terre?

 

A San Rafael ci sono i nipoti di mio nonno. Li ho conosciuti tre anni fa, due di loro erano in contrasto e non si parlavano da vent'anni. Li ho fatti riavvicinare, dopo che ho detto loro 'vi parlo con gli occhi di vostro zio, il fratello di vostra mamma'. La mia è una famiglia ragusana, di Modica. Ma viaggio per andare incontro a chiunque. Finora le poche persone che mi hanno parlato mi hanno raccontato storie bellissime. Come ho fatto con il mio primo libro, sceglierò alcune storie e le riporterò in un libro. Vorrei sensibilizzare gli altri su quelli che sono chiamati disabili. Dopo il mio intervento, ero su una sedia a rotelle e cosa avrei dovuto fare? Una vita da emarginato perché ero in carrozzina? Ancora oggi c'è ci prova vergogna verso la diversità. La cosa migliore sarebbe quella di istruire i più piccoli, per ottenere un cambiamento.

 

Che messaggio vorresti trasmettere ai discendenti italiani che vivono in Argentina?

 

Quello di portare avanti la bontà italiana, il senso dell'accoglienza. Non è solo aprire le porte alle persone che vengono da lontano, ma offrire aiuto a chiunque si trovi in difficoltà. Negli ultimi anni ho sempre raccolto solo soddisfazioni, ho trovato persone che mi aiutano e mi ringraziano. Questo è il messaggio che bisogna mandare. Spesso chi emigra è bisognoso di aiuto ma poi non è disposto a offrirlo a nessuno. Le accoglienze più belle per me sono state in Amazzonia, in Kenia.

 

Quando e come scrivi?

 

-Negli ultimi tempi, scrivo di notte, inizio alle due del mattino. Collego una tastiera allo schermo del cellulare ma lo lascio spento. Poi lo accendo e guardo il testo. Intervengo per migliorarlo.

 

Il tempo della conversazione è terminato. Inutile dirgli “Coraggio”. Andrea ne ha da vendere. Inutile perfino dirgli “Forza”. Non gli manca affatto.

 

Se una previsione si può azzardare, riguarda quanto lui potrà raccogliere da questa nuova sfida e a conclusione del suo soggiorno in Argentina, si potrà valutare l'esperienza misurando cuánto más curtida quedó su piel. Buon viaggio, Andrea! Ti seguiremo tra le foto della tua pagina su facebook https://www.facebook.com/andrea.caschetto?fref=ts

 

Tener la piel curtida è un'espressione argentina per indicare che qualcuno ha superato momenti difficili diventando più forte. 

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