Guida non convenzionale per menti irrequiete

13.11.2017 20:51

Ernesto Schoo, Mi Buenos Aires querido

Edizioni Voland, 2017

 

Chi conosce le parole di quel tango famoso non potrà fare a meno di cogliere la velata allusione a Gardel nel leggere il titolo di questa inusuale guida della città di Buenos Aires, e poi subito dopo ricorderà il secondo verso di uno dei suoi successi indiscussi cuando yo te vuelva a ver, quando io ti riveda. Si palesa così una delle chiavi di lettura di questa godibilissima raccolta di passeggiate artistiche e letterarie, condotta lungo il filo della memoria. Poco importa se, come ha dichiarato in una intervista apparsa su Pagina12, avrebbe preferito chiamarla "Buenos Aires en mi vida y mi vida en Buenos Aires". Il titolo definitivo della sua ultima opera trasmette con chiarezza i ritmi, suoni, atmosfere che si snodano lungo i 22 capitoli e un commiato che la compongono. Si tratta di una riscoperta dei luoghi amati, visti con la mente lucida di chi ha vissuto intensamente i cambiamenti urbani e ha coltivato la propria sensibilità con frequenti viaggi in Europa.

 

Il racconto selettivo e fortemente soggettivo, appunto perché trae linfa dall'affetto per la sua città, si compone di tanti brevi bozzetti che Schoo tratteggia senza veli né pudori, anzi con la consapevolezza di chi si sente prossimo alla fine e non intende tacere le sue verità. L'autore iscrive così la sua opera in quel filone di testi memorialisti molto praticato tra gli intellettuali argentini di ogni tempo, avvertito forse come un obbligo da chi si rende conto delle esigue risorse investite nella conservazione delle testimonianze culturali.

 

Curioso destino quello del tango ricordato poc'anzi, il terzo verso è stato preso in prestito da Osvaldo Soriano che se ne servì per raccontare, sotto forma di romanzo, le contraddizioni che dilaniavano i peronisti negli anni settanta. Viene spontaneo domandarsi se forse, in una città che per buona parte del novecento ha fatto delle manifestazioni in piazza la sua cifra inequivocabile, non sia proprio l'atteggiamento composto e sereno adottato da Schoo un vero atto di ribellione. Ai lettori desiderosi di conoscere i risvolti meno evidenti ma fondamentali della topografia urbana attuale, le pagine di quest'opera potranno offrire l'occasione per chiarire cosa renda unica e irripetibile la città sulle sponde del Plata, resa eterna dalla penna di Borges e Mujica Lainez. Non vi troveranno riferimenti agli edifici storici classici che schiere di vacanzieri visitano oggi durante un tipico percorso turistico. In queste pagine, Schoo si propone invece di valorizzare la bellezza di Buenos Aires e di riferircela come se stesse scrivendo una lettera ad un amico distante per invogliarlo a raggiungerlo nella città di cui si mostra cittadino innamorato e fedele, ammaliato dalla rete di relazioni culturali che legano il suo centro con l'Europa. Buenos Aires mostra qui un volto quotidiano e signorile, dove i parchi, i maestosi alberi e il fiume, viola al tramonto, irrompono tra gli edifici.

 

Resta infatti l'impressione che Ernesto Schoo ci conduca a braccetto lungo le strade di Buenos Aires, bisbigliando al nostro orecchio le meraviglie urbane del passato e i suoi costanti mutamenti, man mano che avanziamo nella lettura di questa guida insolita e anticonvenzionale. Meraviglie a volte sepolte dall'incuria o dall'indifferenza dei nuovi arrivati, rimaste però salde nella memoria di chi come lui ne fu testimone in gioventù. Trovano spazio anche i suoi coetanei, che portano nomi oggi ascoltati con devozione: Borges, Ezequiel Martinez Estrada, le sorelle Ocampo, Ernesto Sábato. Il più delle volte però ci racconta la storia dei giardini o degli edifici monumentali che ancora oggi sono punti di riferimento per la socialità portegna, svelando le motivazioni che hanno accompagnato la loro creazione e le peripezie successive. A lettura conclusa, resta l'impressione di aver sentito narrare la storia sociale di Buenos Aires distribuita in tasselli affascinanti quasi fossero scene di una commedia recitata al teatro. Trovano spazio tanto i grandi palazzi, ad esempio il Barolo di Palanti eretto per custodire le ceneri di Dante, quanto le case in art déco sparse nei quartieri periferici tra le sterminate strade cittadine distanti dal fulcro amministrativo e finanziario. Eppure Schoo predilige i luoghi della sua infanzia e ci conduce tra le vie di Barrio Norte, Palermo, Belgrano e Flores, fino a concludere scenograficamente nel templo della lirica portegna, il Teatro Colón, scrigno di emozioni e rivelazioni.

 

A ragione definito da Hugo Beccacece “il giornalista culturale più importante negli ultimi cinquant'anni” - visse a Buenos Aires tra il 1925 e il 2013 – Schoo sosteneva che i migliori articoli andassero scritti come se fossero delle narrazioni. In età matura si dedicò alla sua autentica vocazione, la narrativa. In precedenza, aveva messo il suo talento al servizio dell'attività giornalistica, iniziata con collaborazioni per la 'Gaceta de Tucumán' dove firmò recensioni di libri dalla fine degli anni quaranta. Seguirono poi le sue colonne di critica teatrale e cinematografica per 'La Nación', 'Primera Plana', 'La opinión'. Furono le sue palestre di stile che gli permisero di raggiungere un tono personale e asciutto nella sua prosa. La traduzione in italiano ci consegna intatta quella precisione e freschezza.

 

Grosseto, novembre 2017

 

 

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