L'Argentina di Guido Piovene - Echi di una lontana permanenza

29.11.2015 12:55

Cinquant'anni fa, Guido Piovene atterra a Buenos Aires col proposito di tenere un ciclo di conferenze sulla letteratura italiana all'Istituto Italiano di Cultura e all'UBA. Pronto anche ad iniziare “una vacanza ragionata in un paese che mi piace e che ritengo destinato a una grande futuro”, a cui poi segue la tappa in Perù, Piovene approfitta della permanenza sudamericana per riversare le sue impressioni in diversi articoli, che il quotidiano “La Stampa” pubblica tra dicembre del '65 e gennaio del '66.

 

Vi arriva preceduto dalla sua fama come romanziere e come critico letterario. Nell'immediato dopo guerra, mentre era direttore del dipartimento di Lettere e Arti a Parigi per l'Unesco, “La Nación” pubblica l'intervista che Martin Aldao gli fece. Tre dei suoi romanzi, Piedad contra piedad, Los falsos redentores e La gaceta negra, sono tradotti e pubblicati in Buenos Aires a inizi degli anni cinquanta, qualche sua collaborazione era apparsa sulla rivista “Sur”.

 

La primavera australe preannunciava ormai un'estate pampeana soleggiata e folgorante. Gli alberi fioriti lungo i viali della città, la rinfrescante ombra delle fronde svettanti in cima a possenti tronchi e il canto vibrante, acuto di uccelli mai prima visti - “una musica meno melodica ma più moderna” come scrive nell'articolo del 12 dicembre - concorrono a creare un'impressione inedita nella sua sensibilità. Da pochi anni erano diventati più frequenti i collegamenti aerei che sostituivano gradatamente la tradizionale navigazione oceanica. Tuttavia, si avverte ancora lo stupore per l'immediatezza dello spostamento. “Sono passato dall'Italia a Madrid, e di qui in un soffio a Dakar, e poi scavalcando di notte l'Atlantico nel Brasile, finalmente a Buenos Aires (…) la mattina un'automobile mi ha portato a duecento chilometri da una città che avevo soltanto intravista nelle luci serali. Da Linate sono riemerso, del tutto sveglio, in mezzo alla pampa”. La confessione, che ha quasi il tono di una rinascita, pare esprimere un desiderio inesaudibile di vedere con occhi vergini la realtà che lo circonda. Piovene tradisce al contempo qualche esitazione nei confronti dei suoi strumenti interpretativi, che teme poco adatti in questa nuova esperienza. Eppure l'Argentina non gli era del tutto ignota e alcune voci narrative locali gli erano già familiari.

 

Non era neanche un viaggiatore inesperto, aveva accumulato miglia sin dalla gioventù, quando da Londra e poi da Parigi inviava le prime cronache. Nel secondo dopo guerra firma i reportage dall'Italia, giudicati da Indro Montanelli una profonda e nitida sonda “nelle pieghe e nelle piaghe del nostro Paese”. Seguono poi le cronache dagli Stati Uniti, dal Brasile. Se De Amicis aveva descritto i territori argentini attraverso l'epopea della migrazione, ora Piovene traccia i contorni di un'immagine diversa, moderna e dinamica, con lo sguardo rivolto alla realtà socio-economica e culturale, mentre si apre un nuovo capitolo nella storia dei rapporti tra i due paesi, legami convulsi o stridenti talvolta, spesso intesi mai asettici. Sempre in discussione.

 

Il paese sudamericano appare cambiato, trasformato radicalmente dalla crescita demografica tra le due guerre e investito da un nuovo flusso di migranti italiani. I rapporti diplomatici si stavano ridefinendo su nuove basi, dopo la stagione dell'avvicinamento sotto Perón. Nel 1961 il presidente argentino Arturo Frondizi accoglie a Ezeiza Giovanni Gronchi in visita ufficiale, un'infinita catena umana lo saluta ai lati della strada che collega l'aeroporto con la città. Poco dopo, anche il presidente Saragat è ricevuto a Buenos Aires. L'Italia del boom economico, non ancora segnata dalla stagione della contestazione e degli anni di piombo, muoveva verso uno sviluppo in cui il settore produttivo argentino avrebbe potuto trovare anche un suo spazio. Piovene annota nei suoi taccuini qualche notizia veloce che può interessare il mondo imprenditoriale: i pozzi di petrolio patagonici e l'industria automobilistica di Córdoba, senza trascurare l'allevamento, la produzione casearia e i frutteti del Delta.

 

Eppure le osservazioni dello scrittore vicentino, plasmate negli otto articoli apparsi sul giornale torinese, trasmettono un'immagine più riuscita quando descrive la vastità dello spazio. Piovene resta letteralmente affascinato dalla natura dei luoghi. Ad iniziare da Buenos Aires, “Questa bella e ricca metropoli sprigiona una gaiezza mentale, astorica, che finora avevo provato solo riflettendo o leggendo. Mi dimentico di tutto, divento contemplativo”. Ma anche prova stupore nel mezzo dei paesaggi remoti della Patagonia, di fronte al Nahuel Huapi apprezza la sua “bellezza originale differente da tutto ciò che ho conosciuto, metafisica, per insistere su un aggettivo che mi accorgo di aver adoperato spesso.”

 

Incontra anche Ernesto Sábato, Jorge Luis Borges, le sorelle Ocampo e Adolfo Bioy Casares, ascolta le domande degli studenti durante le sue presentazioni. “Molti, anzi quasi tutti, i giovani intellettuali che incontro insistono nel chiedermi: 'Lei non crede che il primo dovere di uno scrittore argentino di oggi sia di argentinizzarsi?' Mi accorgo che le mie risposte non li contentano.” Poco incline a riconoscere pubblicamente di avvertire in loro un diffuso “malessere del vuoto”, coincide con le opinioni di Ernesto Sábato che aveva pubblicato da poco Sobre héroes y tumbas, tradotto in italiano dalla Feltrinelli proprio nel 1965. Certo non gli si può non riconoscere il suo fine gusto letterario. Rientrato in Italia, curò la pubblicazione del romanzo di Bioy Casares L'invenzione di Morel, che Livio Bacchi Wilcock tradusse per la Bompiani e che ancora oggi è apprezzato dai lettori italiani più sensibili alle opere letterarie di qualità.

 

Durante il suo soggiorno argentino, il “Corriere degli italiani” gli dedica tre articoli. Nerina D'Alfonso chiude l'intervista del 18 ottobre con uno sfogo sincero “ci congediamo da lui con il rammarico che la nostra conversazione non possa durare più a lungo. Ma la continueremo attraverso la lettura dei suoi articoli sull'Argentina, nei quali, siamo certi, non farà appello a tutto quel tritume convenzionale e falso, alla maniera purtroppo della maggior parte degli 'inviati speciali' dei grandi quotidiani di tutto il mondo.”

 

A inizio del 2000, per iniziativa di Bernardino Osio quelle pagine, seguite dagli articoli scritti sul soggiorno in Perù, sono state ristampate in volume unico, a cura di Sandro Gerbi. Per molto tempo, l'opinione pubblica italiana si è appropriata di queste immagini e ha letto la complessa realtà argentina attraverso le osservazioni ponderate e documentate dell'intellettuale vicentino. 

 

Renata Adriana Bruschi

Tribuna Italiana, dicembre 2015

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