Per un rilancio della narrativa italiana in Argentina
Gli scaffali della Biblioteca Nacional di Buenos Aires sono pieni di libri italiani degli anni quaranta e cinquanta. Titoli di grande valore letterario, saggi rari e imprevedibili in tale contesto ora sonnecchiano nei magazzini di Calle Aguero, pronti a rivivere non appena un giovane lettore, incredulo di fronte alla rivelazione inattesa, ne faccia richiesta. Come è stato possibile ciò?
Considerando solo l'aspetto linguistico, occorre domandarsi se lettori argentini preferiscono prendere in mano testi in lingua originale o in traduzione. La questione rimanda alla politica culturale e a certi dibattiti presenti nel secondo dopoguerra tra gli esponenti della collettività. Nazionalizzarsi oppure no? Continuare a coltivare l'italiano, in un'ottica di bilinguismo, ed anche sostenere la sua conoscenza, oppure recidere il legame con la tradizione culturale di provenienza? Dolorosi dilemmi che sono stati risolti di volta in volta dalle singole coscienze, mentre le strade di Buenos Aires vedevano sorgere nuove librerie italiane - La Viscontea di calle Libertad, La Leonardo di calle Cordoba – e nuove scuole italiane.
Eppure sarebbe errato considerare che le opere letterarie italiane debbano avere come pubblico esclusivo di riferimento la collettività italiana in Argentina. Lo fu per certo sino a poco fa e in misura preponderante, ma esisteva e continua a prosperare una schiera agguerrita di lettori. Appassionati e studiosi che leggono talvolta in italiano talaltra in traduzione, nelle buone traduzioni che una volta alcuni scrittori-traduttori riuscivano ad offrire al pubblico argentino. Basti pensare al successo che circonda la giornata dell'Italia nel Salone del libro di Buenos Aires, soprattutto in queste ultime edizioni, quando Dacia Maraini (2015) e Stefano Benni (2014) hanno dialogato con il pubblico e presentato le loro recenti opere. Il prossimo mese di aprile l'arrivo di Paolo Giordano, autore di La solitudine dei numeri primi, non può che far ben sperare, visto il successo del suo primo libro e di quelli che lo seguirono che ancora oggi sono disponibili nelle libreria locali in traduzione. Con queste iniziative, che contano con l'insostituibile contributo dell'Istituto Italiano di Cultura, i narratori italiani possono assicurarsi un posto di enorme visibilità. Entrano in gioco qui anche i distributori, ma il discorso merita un approfondimento a sé.
Gli anni cinquanta e sessanta erano anche i tempi in cui alcuni imprenditori amavano promuovere la letteratura italiana in Argentina, riproponendo il modello ideale di società rinascimentale, vale a dire quello in cui l'uomo di cultura padroneggiava conoscenze di ambito scientifico e letterario, come appunto ci ricorda la figura di Leonardo. Il suo genio, non a caso scelto per dare nome alla libreria che sorgeva di fronte alla sede storica della TECHINT, ci riporta a Agostino Rocca il cui impegno nel diffondere la cultura italiana fu ampio ed efficace. Partecipò alla scommessa culturale anche Fabril Editora, casa editrice appartenente ad un gruppo imprenditoriale fondato da italiani, che potevano allora permettersi il lusso di pubblicare una collana di poesie di autori contemporanei italiani oppure lanciare nel 1958 El barón rampante di Italo Calvino. L'Olivetti, per conto suo, finanziava borse di studio per universitari e premiava con un meritato viaggio in Italia Attilio Dabini, critico letterario del giornale “La Nacion” e traduttore di tanti romanzi italiani. Ancor di più, donava nel 1960 mille libri d'arte e di letteratura alla Biblioteca Nacional che furono raccolti nella saletta dedicata a Camillo e Adriano Olivetti nel vecchio edificio di calle Mexico. Era direttore della biblioteca J.L.Borges il quale, riprendendo le parole di Chesterton, sosteneva che il viaggio a Roma è sempre un ritorno alla culla culturale dell'occidente.
L'elenco potrebbe proseguire ancora, ma non è questo il punto. Lungi pure dal voler stilare la graduatoria di quelle aziende che hanno collaborato nella delicata impresa di mantenere vivo l'interesse per i capolavori letterari, certo è che rivolgendo gli occhi al presente il contrasto appare forte. Non ci sono più librerie italiane e la stessa Biblioteca Nacional, dopo aver abbandonato la sua sede provvisoria, non ha conservato una sala a ricordo della donazione nell'attuale edificio progettato appositamente da Clorindo Testa.
Sono maturi i tempi perché la collettività ripensi ad una politica di diffusione dei nuovi narratori italiani? Qualcosa si continua a fare, faticosamente, e forse il cambiamento nella politica di importazione dei libri renderà più efficaci tali sforzi. Ma resta difficile dire quale sarà l'impegno degli imprenditori. In altri contesti, ad esempio nel caso degli italiani in Brasile, esiste una politica imprenditoriale finalizzata a sostenere lo studio e la diffusione della letteratura italiana, come chi scrive ha avuto la possibilità di osservare durante il Convegno di Italianistica di Vitoria (Espiritu Santo) del 2013. Un tale appoggio andrebbe oltre il semplice tornaconto degli attori coinvolti nella commercializzazione del libro e permetterebbe ai tanti studiosi e lettori, a prescindere dal loro passaporto, di accedere a testi validissimi e di qualità.
Consentirebbe persino, in certi casi, di raggiungere una maggior consapevolezza del contributo degli italiani alla cultura argentina. E' un dovere nei confronti del passato. Eppure perchè ciò sia possibile non basta solo la sensibilità di alcuni uomini d'affari. Sarebbe auspicabile che vi fossero dei meccanismi semplici che rendano più agile e gratificante il sistema delle sponsorizzazioni o delle donazioni. Forse però proprio a causa dell'assenza di quei vantaggi contabili, il momento del rilancio è ancora purtroppo lontano e quindi ancor più apprezzabili risultano essere quei pochi aiuti alla promozione della letteratura che talvolta giungono dal mondo imprenditoriale locale.
Tribuna Italiana 1570 del 3 febbraio 2016
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