Qualche riflessione a margine del colloquio senese
Si sono concluse con un bilancio altamente positivo le due giornate di studio organizzate a Siena giovedì 19 e venerdì 20 gennaio 2017, nell'Aula Magna dell'UNISTRASI, per iniziativa del Dipartimento di Ateneo per la Didattica e la Ricerca, con il coordinamento di Alejandro Patat. Senza alcuna pretesa di riportare esaustivamente quanto discusso, si vuole ora richiamare l'attenzione su alcuni aspetti emersi che potrebbero interessare i soci ADILLI.
Con il lemma “La letteratura italiana nel mondo iberico e latinoamericano” per prima volta in un ateneo italiano si sono riuniti numerosi professori universitari, ricercatori, studenti e dottorandi provenienti dall'Italia, Spagna, Portogallo, Argentina, Brasile, Messico, Perù e perfino dal Giappone in un dialogo fitto a più voci dove la nota dominante è stata la pluralità dei centri di aggregazione, la complessità culturale di questo ambito di ricerca e purtroppo anche l'inadeguatezza dei mezzi e delle risorse messe in campo per valorizzare un aspetto della cultura italiana che ha dato frutti estremamente variati e affascinanti, sin dalle origini.
Non sono passati molti anni da quando Remo Ceserani si trovò a constatare che “L'Italia ha sempre avuto un'aria di superiorità rispetto alla cultura iberica. Ad esempio, nella sala lettura della Normale di Pisa ci sono tanti vocabolari, ma non c'è quello di spagnolo, spia di una certa distanza nei confronti della cultura spagnola che non ha nessuna ragion d'essere”. Invitato da ADILLI per il suo convegno annuale, Remo Ceserani giungeva per terza volta in Argentina nel 2014. La sua stimolante comunicazione, intitolata “Forse si può parlare di neofantastico: Cortazar, Byatt, Tabucchi”, mise in evidenza la portata rivoluzionaria e feconda degli autori latinoamericani quando entrano in dialogo, anche inconsapevolmente, con narratori di altre provenienze. A distanza di due anni e mezzo e dopo queste due intense giornate senesi, tutto porta a pensare che si sia finalmente imbroccata la direzione giusta. Tuttavia, a ben vedere mancano ancora all'appello le risorse basilari che rendono percorribile in modo agevole la lunga strada degli studi in questo settore.
Nell'impossibilità di riferire la ricchezza degli interventi, che presto saranno pubblicati, può risultare utile ora enumerare alcune conclusioni che possono essere formulate alla luce di quella ricca messe di informazioni e statistiche presentate da oltre venti relatori. Non può venir trascurato un primo macroscopico fattore che è l'onnipresenza di Dante Alighieri. Il convegno infatti è stato aperto da una comunicazione di Marcello Ciccuto che ha illustrato il rapporto tra Dante e Borges e nell'arco delle due giornate il nome del poeta fiorentino è stato pronunciato più volte, insieme alle sue Rime e soprattutto alla Commedia. Era al centro della comunicazione presentata da Claudia Fernandez Greco e da Carlos Gatti Murriel (Universidad del Pacífico, Perú) -Jorge Wiesse Rebagliati (Universidad del Pacífico, Perú), ma il nome di Dante tornava spesso anche nelle comunicazioni dei relatori provenienti dalla Spagna. Ne è emerso che la Commedia offre diversi spunti che permettono a numerosi interpreti, lettori e scrittori di rielaborare quegli stimoli per alludere alle loro esperienze di vita e alle loro creazioni. La prova più convincente della dimensione attualissima in contesti svariati è stata offerta dalla comunicazione dedicata all'esperienza di lettura con i carcerati italiani, sudamericani, africani o asiatici. Nel contesto di un progetto pilota, che mette il testo dantesco al centro della loro rieducazione, quelle terzine hanno consentito di dare espressione alla sofferenza e alla disperazione insita nella loro condizione di emarginati, a ulteriore conferma della valenza civilizzatrice del discorso letterario.
Dalla figura di Dante alla pervasività della cultura italiana all'estero, in particolare nei paesi di arrivo dei migranti italiani, il passo è breve. Se la Commedia a buon diritto può essere considerata una summa della conoscenza medievale, è altrettanto vero che gli italiani, quando si sono spostati all'estero, hanno favorito la diffusione di svariati saperi: dalla giurisprudenza agli studi di storia, come è stato evidenziato da Nora Sforza che ha ricordato la figura di Burrucua, dall'arte all'architettura e ingegneria, tanto per citare i più evidenti.
La complessità di tali saperi, che spesso risultano intrecciati e correlati tra loro quasi si ripartisse da eterne rinascenze, va di pari passo con la pluralità dei punti di incontro. Determinati momenti del dialogo tra Italia e le culture latinoamericane, come si evince da alcune comunicazioni, sono frutto di scambi avvenuti anche al di fuori della rotta tra i due interlocutori. Il policentrismo delle comunicazioni, che esisteva già a inizio novecento, quasi una rete telematica ante litteram pur con un numero inferiore di nodi, anticipa la tendenza postmoderna che vede il notevole incremento di queste occasioni di incontro: i vari Saloni del libro (Francoforte, Parigi, Buenos Aires, e in tempi più recenti Torino, Guadalajara, Bogotà), tanto quanto i Convegni internazionali oppure la stessa opera di mediazione che faticosamente portano avanti alcuni enti internazionali (Unesco, UE) servono per creare occasioni di avvicinamento che esulano dalle politiche decise in seno ai singoli governi e rientrano piuttosto in logiche corporative o interessi commerciali transnazionali.
Eppure, in tempi di giochi di collaborazione, che altro non sono se non il riflesso di quanto avviene nel mondo accademico, la tendenza alla condivisione di progetti, i nuovi percorsi formativi e la creazione di occasioni di socializzazione è diventata non solo una costante ma anche la carta vincente. Molti relatori hanno sottolineato la similitudine degli esiti che uno stesso autore italiano raggiunge in Iberoamerica, dal che si ricava che sarebbe più opportuno analizzare la sua fortuna mettendo in rapporto la sua presenza nei singoli paesi di questa vasta area. Le varianti dello spagnolo – aspetto strettamente connesso a quanto prima esposto - e la necessità di scegliere il registro adeguato quando si affronta la traduzione di testi letterari continuano a evidenziare tutta la osticità della questione, come è stato illustrato da Alejandro Patat. E' noto che spesso gli editori iberici tendono a prendere posizioni dominanti, non solo per un puro tornaconto economico, ma anche perché convinti che tale presunto lettore ispanofono transnazionale possa preferire la loro versione, ritenuta qualitativamente migliore.
Per quanto concerne invece le opportunità di collaborazione tra atenei, sono già in atto alcune convenzioni che consentono da doppia titolazione. Forse i tempi sono maturi per iniziare a pensare ad accordi interuniversitari che permettano di completare studi di perfezionamento in ambito letterario con il coinvolgimento di tutte e tre le aree linguistiche prese in considerazione nel corso del convegno senese “La letteratura italiana nel mondo iberico e latinoamericano”. Sarebbe quindi auspicabile che lo studente potesse completare il percorso di ricerca sommando crediti in tre diverse università, una per ciascun'area culturale. Questa caratteristica specifica dell'ambito di studi mette in luce la necessità di creare un ente che rappresenti i professori, ricercatori e studiosi che si specializzano nell'italianistica iberoamericana. La situazione attuale vede l'esistenza di numerosi gruppi: ADILLI in Argentina, ABPI in Brasile, AMIT in Messico, AIPI in Europa sono delle realtà già consolidate. Occorre domandarsi se sia conveniente creare un'associazione che riunisca tutti questi raggruppamenti preesistenti e possa diventare rappresentativa in virtù proprio di una organizzazione federale. Meno semplice da affrontare risulta essere invece la questione delle assegnazioni dei lettori all'estero, aspetto che è di competenza del MAECI e che è stato sollevato quando un relatore ha sottolineato che tra i docenti universitari nessuno riunirebbe le caratteristiche richieste dai bandi di concorso per i lettorati gestiti appunto dal MAECI.
Comunque, senza timore di peccare per faziosità, posso assicurare che la delegazione ADILLI, al pari di quella ABPI - entrambe presenti nell'Aula Magna dell'Università degli stranieri a Siena - si è fatta notare, anche per la bellezza, la simpatia e la vitalità. Tre fattori che accomunano le società di questi due paesi, diversi ma vicini e troppo spesso confusi in un tutt'uno. Ma forse d'ora in poi, grazie ad uno studio più approfondito delle specifiche condizioni in cui avviene la diffusione della cultura italiana in ciascun caso, i contorni dell'uno e dell'altro saranno più chiari allo studioso italiano che si avvicina a questo affascinante universo culturale.
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